Senape. — Ho parlato lungamente della senape nell'Almanacco d'Epicuro, e per non fare e rifare dei mondeghili colla stessa carne, vi rimando a quel lunario, che è di dieci anni or sono (1872). Pur troppo l'igiene degli alimenti nervosi ha fatto dopo quell'epoca pochi progressi ed io non posso che regalarvi due versi della Scuola Salernitana, che riguardano la senape, i suoi vizii e le sue virtù:
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regalarvi due versi della Scuola Salernitana, che riguardano la senape, i suoi vizii e le sue virtù:
Quest'aneddoto è mediocremente interessante, ma assai più curioso è quello dell'Arcicancelliere Cambacérès, che disputava ai suoi tempi il principato della tavola con Murat, Junot, M. De Cussy e Talleyrand. Nello stesso giorno ricevette una volta due sturioni mostruosi, uno di 162 e l'altro di 187 libbre. Servirne uno solo, era perder l'altro; servirli entrambi era far sfigurare il minore di faccia al maggiore. Il problema del fasto e della vanità fu sciolto in questo modo. Si fece comparire lo sturione più piccolo, adagiato sopra una piccola scala in un letto di fronde e di fiori. Il capo e la coda riposavano sulle spalle di due sottocuochi, e il pesce fece il giro della tavola, preceduto da flauti e da violini, raccogliendo l'ammirazione di tutti i convitati. Al momento di escire dalla sala da pranzo per essere trinciato, il grosso pesce scivolò dalla scala e cadde per terra, grazie a un falso passo di un sottocuoco. Un lungo grido di disperazione escì dalle labbra dei convitati, ma la voce di Cambacérès dominò il tumulto e con una semplicità degna d'un vecchio romano, gridò: Servite l'altro!
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Quest'aneddoto è mediocremente interessante, ma assai più curioso è quello dell'Arcicancelliere Cambacérès, che disputava ai suoi tempi il principato
Uovo. — Il più democratico e il più aristocratico degli alimenti animali, e che ha in sè una così spiccata individualità da aver dato ai fisiologi e agli igienisti un'unità di misura per confrontare il valore nutritivo di quasi tutti i cibi, e di aver fornito al dizionario i più bei proverbi, ai filosofi i più astrusi problemi dell'essere e del non essere. L'uovo è candido come la verità, è chiuso, in sè e raccolto come l' uomo modesto e felice e sotto il suo piccolo volume rappresenta un massimo di conforto al ventricolo, di nutrimento all'organismo. Democratico offre i suoi tesori di forza e di salubrità al povero proletario, come al più Creso dei Re. Nello stesso tempo aristocratico come il genio vero non si lascia sedurre dalle leccornie della cucina e rimane sempre al disopra d'ogni più complicato intingolo gastronomico. L'uovo appena fatto e intiepidito sulla cenere o nell'acqua calda sfida tutti i pâtés, tutti i salmis, tutti i pandemonii raffinati della ghiottoneria e sembra dire: io sono quel che esiste ab eterno, io sono quel che sono. Tanto modesto da costare un soldo, tanto fragile da non resistere alla più piccola caduta, si innalza nelle più alte regioni del soprannaturale, proponendo all'uomo il più metafisico dei problemi: Venne al mondo prima l'uovo o prima la gallina?
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e sotto il suo piccolo volume rappresenta un massimo di conforto al ventricolo, di nutrimento all'organismo. Democratico offre i suoi tesori di forza
Uva. — Frutto allegro, frutto dolce, frutto bello, frutto galantuomo, che è degno in tutto di essere il padre o la madre di quel santo liquore che è il vino. I forti generano i forti, disse un antico e prima di lui lo aveva proclamato ai quattro venti mamma natura. Così l'uva che è dolce senz'essere nauseante, che è saporita senz'essere stomachevole, che rinfresca e nutrisce, che dà alle nostre labbra tanti baci, quanti sono i molti acini dei suoi ricchi grappoli, e al palato tanti sapori, quante sono le mille varietà della vite, genera dalle sue viscere quel divino liquore che ebbe un Dio nell'Olimpo greco, ma che avrà un culto dagli uomini, finchè una zolla del nostro pianeta sarà calpestata da piede di creatura intelligente.
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suoi ricchi grappoli, e al palato tanti sapori, quante sono le mille varietà della vite, genera dalle sue viscere quel divino liquore che ebbe un Dio
Allodola. — Ghiotto uccelletto, che vive cantando i suoi inni di gioia fra la polvere d'oro che piove dagli alti raggi del sole e muore sullo spiedo preparando fra due lardelli e due foglie di salvia uno dei più saporiti bocconi che possono confortare il bipede implume nelle miserie della sua peregrinazione sublunare. Felice trasformazione delle forze, che muta una canzone in una voluttà del palato! — Ma l'allodola non è soltanto poetica in vita e in morte, ma è nutriente, digeribile, ottima ai sani e ai convalescenti.
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Allodola. — Ghiotto uccelletto, che vive cantando i suoi inni di gioia fra la polvere d'oro che piove dagli alti raggi del sole e muore sullo spiedo
La nostra parola segue affettuosamente di anno in anno l'egregio Aducci nei suoi progressi continui. Senza grandi capitali, ma ricco di quella fede operosa, che muove le montagne e trasforma i continenti, questo simpatico industriale romagnolo ha reso popolari in Italia i tessuti di straccio di seta, applicandoli al vestiario, alle coperte da letto e a molti e diversi usi della nostra vita domestica.
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La nostra parola segue affettuosamente di anno in anno l'egregio Aducci nei suoi progressi continui. Senza grandi capitali, ma ricco di quella fede
Domandate per lettera all'egregio Aducci il catalogo dei suoi tessuti e potrete far bene a voi e giovar ad un'industria, che merita di essere incoraggiata da quanti si lamentano che nel nostro paese si lavora troppo poco e non sempre troppo bene.
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Domandate per lettera all'egregio Aducci il catalogo dei suoi tessuti e potrete far bene a voi e giovar ad un'industria, che merita di essere
Anice. — Erba originaria dell'Egitto, oggi acclimata dovunque per il grato aroma dei suoi steli, che si mangiano verdi in qualche parte d'Italia e dei suoi semi che entrano in molti preparati della cucina, della confetteria e del liquorista. È gran nemico dei venti umani, e sarebbe la più benedetta delle piante se riuscisse a guarire i cervelli umani da tutte le loro flatulenze. Invece non serve che a mettere in fuga i venti dello stomaco e dell'intestino e per alcuni ventricoli arresta la digestione invece di favorirla. Perfino i biscottini d'anice sono per molti indigesti.
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Anice. — Erba originaria dell'Egitto, oggi acclimata dovunque per il grato aroma dei suoi steli, che si mangiano verdi in qualche parte d'Italia e
Beccaccia. — Regina assoluta e senza rivali di tutto il selvaggiume europeo. Quando è grassa e ben cotta allo spiedo merita tutti gli elogi e anche le adulazioni dei suoi ferventi adoratori. Éléazar Blaze, grande cacciatore e grandissimo cuoco c'insegna a pestare le beccaccie in un mortaio per farne una deliziosa purrée e aggiunge che se sopra questa si mettono ali di pernice, si ottiene il più alto risultato della scienza culinaria. Gli Dei, quando scendevano in terra, non mangiavano altro. La beccaccia deve essere frolla, ma non marcia. Non profanatene la divinità, mangiandola in altro modo che allo spiedo.
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le adulazioni dei suoi ferventi adoratori. Éléazar Blaze, grande cacciatore e grandissimo cuoco c'insegna a pestare le beccaccie in un mortaio per
Borragine. — Erba indigena dell'Italia, che offre alla insalata i suoi bei fiori azzurri e alla cucina le sue foglie pelose e succolenti, che ravvolte di pastina e fritte ponno far credere agli avari e agli stangati di dare agli ospiti un piatto saporito.
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Borragine. — Erba indigena dell'Italia, che offre alla insalata i suoi bei fiori azzurri e alla cucina le sue foglie pelose e succolenti, che
Carruba. — Frutto di un bell'albero italiano e che ha i suoi semi raccolti in una pasta dolce e piacente. Conviene sputar fuori i molti semi, che non si possono digerire.
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Carruba. — Frutto di un bell'albero italiano e che ha i suoi semi raccolti in una pasta dolce e piacente. Conviene sputar fuori i molti semi, che non
Couscous. — Piatto usato dagli Arabi e dai Negri, ma che dovrebbe essere acclimato anche fra noi, specialmente per ingrassare i troppo magri. Si prepara con semolino, latte, burro e brodo. Catone nel suo libro De re rustica, ci dà la ricetta del couscous, che era usato ai suoi tempi dai Cartaginesi.
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prepara con semolino, latte, burro e brodo. Catone nel suo libro De re rustica, ci dà la ricetta del couscous, che era usato ai suoi tempi dai Cartaginesi.
Fagiuolo. — Il dizionario, che è più capriccioso di una bella signora, mette avanti al più aristocratico degli uccelli, il più plebeo dei legumi. Habent sua fata.... phaseoli. I fagiuolini verdi e tenerelli sono fra le verdure più salubri; i fagiuoli maturi sono spesso flatulenti ed anche indigesti, se poco cotti o se cotti in un'acqua cruda (Vedi Igiene della Cucina) che non possa cuocerli. In quest'ultimo caso basta mettere nella pentola un pizzico di carbonato di soda o un sacchetto di cenere. Pitagora proibiva ai suoi scolari il mangiar fagiuoli, forse perchè non fosse disturbato il severo silenzio della scuola da suoni inopportuni e forse per la stessa ragione il fagiuolo era già stato dichiarato impuro dai sacerdoti dell'antico Egitto. Noi non siamo tanto severi quanto Pitagora e i preti egiziani, ma raccomandiamo di mangiar solo i fagiuoli a buccia sottile e ben cotti. Ottimi sono quelli di Soissons, migliori ancora quelli di Trebisonda.
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pizzico di carbonato di soda o un sacchetto di cenere. Pitagora proibiva ai suoi scolari il mangiar fagiuoli, forse perchè non fosse disturbato il
Gallo faraone. — È un uccello addomesticato, che ci dà molte uova e carni squisite, ma che per la sua turbolenza, per i suoi gridi insopportabili, per la sua petulanza non è simpatico agli allevatori di pollame. Merita il nome di mauvais-coucheur.
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Gallo faraone. — È un uccello addomesticato, che ci dà molte uova e carni squisite, ma che per la sua turbolenza, per i suoi gridi insopportabili
Maccheroni. — Parola che commuove teneramente le viscere a molti milioni di italiani, che fanno dei maccheroni il cibo prediletto e quotidiano. Quest'adorazione è pienamente giustificata dalle virtù nutritive e saporose di questi cannelli di pasta, che contengono una volta e mezzo più materia azotata che la farina con cui son fatti. Per esser buoni devono resistere ad una lunga cottura senza rompersi e conservando sempre la loro forma tubolare. Quando cocendo si fendono per lo lungo o si fanno in pezzi, è perchè contengono una quantità troppo piccola di glutine. E dire che il frumento di molti paesi d'Europa non può servire a far maccheroni! Rossini spingeva la ghiottornia fino a siringare nei suoi maccheroni già cotti (uno ad uno) una salsa speciale. Adoperava per questa delicata operazione di chirurgia gastronomica una piccola siringa di avorio.
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molti paesi d'Europa non può servire a far maccheroni! Rossini spingeva la ghiottornia fino a siringare nei suoi maccheroni già cotti (uno ad uno) una
Melagrana. — Frutto bellissimo che coi suoi mille rubini splendidi e rubicondi sembra ridere al sole che l'ha fatto e alle labbra porporine dei fanciulli, che ne assaporano il succo fresco e gradevole. È frutto pochissimo nutriente, ma che rinfresca e sazia aggradevolmente la sete. Ebbe mille volte ragione il saggio re Salomone di confrontare le bellezze più recondite della donna amata alla melagrana e se volete spargere altra antica poesia su questo poetico frutto del mezzodì d'Europa cercate il libro di Bötticher- Der Baumcultus der Hellenen e a pag. 471 e seguenti troverete cose bellissime sulla storia mitologica del granato presso gli antichi Greci.
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Melagrana. — Frutto bellissimo che coi suoi mille rubini splendidi e rubicondi sembra ridere al sole che l'ha fatto e alle labbra porporine dei
Miele. — Cibo molto poetico, che fra noi però si trova più spesso sulle labbra dei nostri poeti, che in bocca dei ghiottoni, avendo lo zucchero di canna e di barbabietola sostituito il miele in quasi tutti i suoi usi culinarii. Pei bambini, disteso sul pane, costituisce un'ottimo cibo, mentre negli adulti dispeptici produce spesso flatulenza e acidità di stomaco, in altri dà una sensazione spiacevole di secchezza e di irritazione alla gola. Quando invece è ben digerito, può guarire alcune forme di stitichezza cronica. Il miele amaro di Sardegna, che deve il suo sapore particolare ai fiori dell'assenzio, è tonico e buon amico del ventricolo.
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canna e di barbabietola sostituito il miele in quasi tutti i suoi usi culinarii. Pei bambini, disteso sul pane, costituisce un'ottimo cibo, mentre negli
Oca. — Uccello domestico molto goffo quando cammina, molto indigesto quando si mangia, ma che dà al povero nel giorno di Ceppo la più succulenta delizia gastronomica e al ricco i deliziosi pasticci di Strasburgo, che son fatti appunto col fegato delle oche artificialmente ingrassate. L'oca che oggi serve nel linguaggio a canzonare i goffi, le donne con molto adipe e poca grazia e i cervellicon più grasso che sale, ebbe un tempo onori divini. Uccello sacro a Roma, dopochè un'oca ebbe risvegliato Manlio e i custodi del Campidoglio, sacro al re di Licia, Radamante, che adorando le oche comandò che nei suoi Stati non si giurasse più per gli Dei, ma per le oche. Pare che ai tempi di Giulio Cesare si giurasse sulle oche anche in Inghilterra. Anche il medico Giulio Cesare Scaligero alzò un inno di lode all'oca, ammirandone le virtù fisiche e le morali. «L'oca, egli dice, è il più bell'emblema della prudenza; abbassa il capo per passare sotto un ponte, per quanto alto possa essere l'arco; è pudica e ragionevole al punto da purgarsi da sè quando è malata, senza consultare il medico. Le oche sono così prudenti, che quando passano per il Monte Tauro, che è popolato di aquile, hanno cura di prendere ciascuna nel becco una pietra, per obbligarsi così al silenzio e non farsi scoprire col loro cinguettìo pettegolo.»
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che nei suoi Stati non si giurasse più per gli Dei, ma per le oche. Pare che ai tempi di Giulio Cesare si giurasse sulle oche anche in Inghilterra
Ostrica. — Se Esopo e Socrate non ci avessero insegnato da secoli che il brutto può accordarsi col buono, le ostriche sarebbero lì ogni giorno per provarci, che la conchiglia più orrida, più volgare, che sembra piuttosto una scheggia di roccia che un animale, può nascondere in sè il più ghiotto boccone di questo mondo e che questo boccone può esser divino anche con un aspetto schifoso e quasi ributtante. Gli antichi nostri padri dell'epoca della pietra divoravano con voluttà migliaia di ostriche, spesso loro cibo principale, ed oggi anche un imperatore che invita alla propria mensa una pleiade di prìncipi e di re, non trova altro di meglio da offrir loro come antipasto che una dozzina di ostriche. È uno dei mille casi, nei quali l'arte si ritira confusa e piena di rossore dinanzi all'onnipotente natura. Nessun cuoco del mondo ha potuto o saputo coi suoi multiformi intingoli e colle sue proteiformi salse produrre niente di meglio di un'ostrica. L'ostrica, che non ha bisogno nè di sale, nè di fuoco, nè di accompagnamento qualunque di artificiosi intingoli per essere saporosa, leggera, voluttuosa, solleticante, appetitosa e che nel saziar l'appetito risveglia sempre un appetito nuovo; che non ha bisogno di esser masticata, ma che può essere sorbita dalla lingua d'una donna amata, come faceva l'epicureo Casanova; che la natura ci offrì perfino col suo piattino perlaceo e sempre pulito di dentro come una scodellina di porcellana. L'ostrica, che può esser mangiata al più luculliano e sardanapalesco convito dal più gargantuano dei ventricoli, come pub essere sorbita e digerita dalle labbra d'un moribondo; cibo pei sani, pei malati e pei convalescenti, cibo che sembra aver involato al mare il più salso dei suoi aromi, e le più voluttuose e celate sue virtù. Un cuoco-poeta cantò le ostriche in questi versi, che sono però meno buoni di esse:
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ritira confusa e piena di rossore dinanzi all'onnipotente natura. Nessun cuoco del mondo ha potuto o saputo coi suoi multiformi intingoli e colle sue